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Politica e Facebook

Ora, non è che sia obbligatorio “stare” su Facebook, neanche per un politico. Ma se l’utilizzo di un digital social network può dare un’idea del grado di alfabetizzazione socioinformatica dei nostri politici il dato non è confortante.

I sindaci delle prime dieci città italiane per popolazione (Roma, Milano, Napoli, Torino, Catania, Genova, Bologna, Firenze, Bari) non sono su Facebook. Non ho fatto un censimento nella categoria specifica dei sindaci imprenditori ma tra gli intervistati (18 quelli in carica) 7 (il 33%) è su Facebook e vi ha sviluppato attivamente una propria rete di contatti. Quindi i cittadini di Castelli Calepio, Acqui Terme, Lecce, Olbia, Pagani, Rivarolo Canavese, Leinì hanno un mezzo in più per interagire direttamente con i propri sindaci.

Se l’accesso ai vertici delle istituzioni è un segnale di democrazia, in questo c’è qualcosa di buono.

Tremonti non è più il pontiere della Lega

Il numero odierno di LibMagazine si apre con il discorso di Calamandrei del 1955 sulla Costituzione, ed è in buona parte dedicato alla vicenda di Eluana Englaro. Nella rubrica Sindaco SpA riparliamo invece del patto di stabilità dietro il quale si è aperto un conflitto politico che è anche di logica: periferia vs centro, amministrazione locale vs governo centrale.

Il patto di stabilità interna è quello strumento che viene adottato per contenere la spesa degli enti locali ed evitare che contribuiscano a sforare i limiti del patto di stabilità sancito a livello europeo.

Ne abbiamo già parlato in passato perché tutti gli imprenditori-sindaci intervistati per Sindaco SpA se ne sono lamentati. Il malcontento nasce da due considerazioni: lo strumento è inefficace (perché non promuove una corretta allocazione delle risorse) e iniquo (perché i trasferimenti dello Stato vengono erogati in funzione di quanto già speso, non del risultato finale di bilancio).

Nelle scorse settimane i sindaci del Nord-est, con una nutrita rappresentanza di primi cittadini leghisti, hanno contestato apertamente le modalità di applicazione stabilite per l’anno in corso e la revisione delle misure del patto effettuata dal ministro Tremonti. Proprio colui che in passato è stato considerato cerniera tra Forza Italia e l’anima della provincia leghista, localista e animata dall’imprenditoria artigianale.

Oggi ci sono sindaci che hanno lavorato bene per avere i conti in ordine, per assicurarsi risorse (cedendo parte del patrimonio immobiliare, per esempio), per potere lavorare allo sviluppo, e vorrebbero mettere in campo iniziative di investimento che non toglierebbero nulla alle casse dell’erario ma consentirebbero, invece, di stimolare le economie locali. Però non possono, perché la circolare emessa dal ministero dell’Economia il 27 gennaio sostanzialmente impedisce ai comuni virtuosi di utilizzare le risorse che hanno creato nel tempo.

Il presidente dell’ANCI (l’associzione nazionale dei comuni italiani) Leonardo Domenici, sindaco di Firenze, ha scritto a Tremonti contestando le scelte del Ministero, e di fatto ha interrotto i rapporti con l’amministrazione centrale dello Stato. Certo, il dissenso del presidente pd dell’Anci, così come quello della Conferenza delle Regioni Vasco Errani, anch’egli del Pd, potrebbe non fare notizia. Perfino la protesta di Letizia Moratti contro il ministro dell’Economia potrebbe sembrare pregiudiziale, perché i due erano accreditati dalla stampa di una certa reciproca avversione già ai tempi in cui sedevano insieme in consiglio dei Ministri, e le recenti vicende dell’Expo non sembrano aver contribuito a migliorare il loro rapporto.

Il dato politico interessante, piuttosto, è la contestazione che arriva dai sindaci leghisti, veneti e lombardi, e la mozione di 20 deputati del Pdl (primi firmatario Osvaldo Napoli – che è anche vicepresidente dell’ANCI – e Maurizio Lupi). Quell’area geografica e politica che ha visto in Tremonti un rappresentante degli interessi del blocco sociale di riferimento, ora gli si rivolta contro.

Anche se qualcuno sospetta che il contrasto all’interno del centrodestra tra dimensioni locale e nazionale sia puramente di facciata. Il consigliere regionale lombardo Marcello Saponaro sostiene infatti che la Regione Lombardia avrebbe il potere di adattare i vincoli posti dal legislatore nazionale agli enti locali del proprio territorio. Ma i consiglieri del Pdl e della Lega su questa strada non si sono ancora incamminati.